mercoledì 10 agosto 2011

Follia d'un rosso sbiadito


Epilogo dell'epilogo

I.

Althea, dove sei?
Mi armo di un finto, inesistente coraggio e decido d'entrare.
Ancora qualche misero passo e sarò lì, a carezzare coi piedi gli assi di quel pavimento, e respirare l'aria che spezzò lei per l'ultima volta.
Althea, dove sei?
Scorgo d'improvviso il vuoto della sua stanza, ne percepisco l'assenza - un meandro inesistente e cieco che mi spaventa.
Getto uno sguardo smarrito tutto intorno, e incosciamente traccio il profilo della luce che pervade la parete e parte del mobilio; seguo il giuoco di ombre che si consuma, ingenuo e tetro, nell'altra parte della stanza.
Una zona remota, semisconosciuta, dimentica della morte.

Vuota è la poltrona presso cui suoleva riposar le membra, stanche, spossate, pericolosamente in bilico tra il suo mondo ed il nostro; rosso il tessuto, d'una tonalità scolorita, inesorabile vittima del tempo, testimone di una sciagura allora in corso.
Ma ormai giunta a destinazione.
La stoffa: sbiadita e spenta come l'essenza di Althea.
Una fiacchezza senza ritorno che non risparmia e non volle risparmiare nessuno.
Ricordo, giaceva là sopra per giornate intere e per tutte quelle notti, insonni, che vegliò alla luce della sua follia autodistruttiva. 
Un bagliore quasi metafisico questo, impalpabile, che sfugge alla nostra vista di uomini codardi. 
Un tremolio smorzato appena da due ciglia vigili e al tempo stesso già lontane.
Sperdute, son loro che per prime l'hanno preceduta in quel lungo viaggio di sofferenza al color di morte. Le ultime tuttavia a lasciarsi morire dall'esasperazione, a chiudersi in un disperato istante di solitudine.
Un semoforo a luci spente, prima solo intermittenti, destinato a rassegnarsi della propria decomposizione.

Il fisico nell'ultimo periodo si era ridotto a fragili ossicina, inermi i muscoli: fu questo il risultato di una mente che si andava devastando, nutrendosi della sua stessa pazzia.
Fatale. Prendo il mano quel vecchio scrittoio che si erge al di sopra una scrivania situata al c'entro della stanza: libri lerci e pastiglie ne fanno da cornice, inutile dirlo, in veste di tristi accompagnatori di quel cammino a senso unico che lei, con loro, intraprese.
Nessun altro a tenerle testa, se non un po' di Prozac e Mallarmè mattina e sera, prima o dopo i pasti più non importava.
Non appena lo prendo tra le mani neppure mi accorgo di come le dita scorrano silenziose e lievi, quasi in segno di rispetto chiudo gli occhi : voglio adesso assaporare il profumo poroso del legno, perchè mi penetri le vesti, poi il cuore, e lì vi si insidi per sempre.Con i polpastrelli sfioro timorosa la superficie rialzata dell'inchiostro traferito sul foglio: il tentativo di decifrarne la scrittura è arduo, impossibile comprendere il significato di quei versi, sarebbe come cercare di seguire il filo di segni amorfi e senza vita, sconclusionati, sottoposti ad una volontà umana ormai sconclusionata, anestetizzata, in preda ad un collasso.... -il respiro di Althea fu interrotto prima di portare a termine, e rendere immortale, l'ultima poesia.
Ormai le mani, in preda ad un tremolio continuo, non rispondevano più, e ribelli, si opposero alla sciocca pretesa di scrivere ancora: Althea si lasciò morire così, come una foglia secca, ormai caduta, si lascia schiacciare da distratte impronte d'uomo.
Con la differenza che lei non fece alcun rumore, non un sussulto.
L'avvolse il silenzio, e in segreto se la portò via. 
Tutto questo mentre quelle sue dita ossute non si decidevano ad abbandonare la penna, e con lei un sogno di vita infranto per sempre.
Mi lascio invadere dallo spettro del ricordo, che maledico ed invoco con lo stesso battito del cuore.Il timore, la rabbia cieca e sorda, adesso cedono spazio ad un dolore cristalizzato che va sciogliendosi con le lacrime di una sorella svuotata nell'anima.
Scovo mille emozioni, prima celate da uno scudo d'egoismo fine a se stesso: solo adesso mi accorgo di quanto si fossero sedimentate in fondo, albergando giù nel baratro più infernale della mia persona...sino ad oggi. 

Sino ad oggi, che Althea non c'è più.
Dovrò presto o tardi fare i conti con quest'evidenza, col fatto che i suoi occhi, assenti e vitrei come solo i suoi sapevano essere, non trovano più posto sul quel volto bianco d'una neve impastata a lungo;la sua treccia - mollemente adagiata sulla spalla, del colore di timidi e primaverili raggi di sole – non compare più da quel capo esile e minuto quale era il suo.
Le sue labbra, costantemente contratte in un bieco sorriso inebetito dai farmaci, non danno più vita a sibilii indistinguibili, a sillabe amorfe e rarefatte come rugiada che si scioglie nelle ore di prima mattina.I
l processo risponde alla stessa, prevedibile, scomparsa, o trasformazione che dir si voglia, di materia.
Di sensazioni acquose ormai dimenticate, e rapidamente sostituite per non sprofondare in un abisso vergognosamente profondo, per quanto incolmabile.

E' così difficile combattere quella realtà bruciata, e insieme l'effettiva e vera distruzione che addita una persona come Althea, prossima alla fine?




II.



Althea è perduta, ora e per sempre, tra le moltitudini ancestrali, le eterne solitudini 
che non ritorneranno.
Assume adesso le fattezze originarie, le membra presso cui, fin dal principio, aveva desiderato presiedere.Trova posto in seno alla Natura errante che Althea, guardinga, osservava dal vetro della finestra, confine con il mondo sensibile e prigionia invalicabile che aveva caratterizzato la sua esistenza.Mi piace pensare che adesso sia al fianco di quei fili d'erba - ai quali aveva attribuito nomi e sorti;al fianco delle sue amate rondini - animali senza patria che cambiavan vita ad ogni stagione; e sorrido al pensiero che sia diventata compagna dei candidi tulipani di cui andava disegnando la fisionomia su fogli bianchi e tristi - che successivamente, per rabbia, lacerava – riducendoli in miseri brandelli di carta. A lei somiglianti

La parabola discendente di Althea


{Lacrime violacee sgorgano da nuvole basse e cariche di paranoie; 
il vento è una feroce costante che mi penetra le tempie

Stamani ho preso una decisione che trabocca d'importanza ed euforia.
Riporterò su questo straccio di quaderno, giallognolo dai dispiaceri, incrostato di lacrime e sangue, la corrente dei miei pensieri, fissandoli sulla carta e conferendo loro una parvenza d'eternità.

Banale banale, quanto sono! E folle, hanno ragione loro, Folle!
Riuscirò mai a sconfiggere i tanti fardelli che mi perseguitano, impedendomi il respiro, intralciandomi il sonno?, annientando la mia volontà, 
uccidendomi, a poco a poco?
Eppure persisto. Eppure vivo, nonostante il buio tutt'intorno e dentro me.

Eppure scrivo. Perchè scrivere è un pò come setacciare le vie dell'Incommensurabile, dar forma all'Informe, armarsi d'amorevole astrattismo provando a teorizzare prospettive sempre nuove. 
E' tingere di vitale inchiostro il capo e le membra, sino al midollo ed Oltre, oltre...
E' plasmare una realtà fittizia, eppur viva e spaventevole,  quasi quanto la nostra.
E' un impellente bisogno fisico, folle, impertinente, che non vuol sentire ragioni nè scuse: come tale, lo si rende mansueto con una costante e passiva ubbidienza. 
S'impadronisce di noi, e noi diciamo Si. Inermi, al suo cospetto, lo difendiamo ad oltranza.

Ecco dunque profilarsi davanti al vetro delle mie pupille Grovigli di parole sposate a vuote emissioni di fiato: insieme, si raggomitolano in versi - Con timida loquacità, umili per Natura, questi luridi vermicelli strisciano per le vie del Creato e s'adagian, lievi, su di un cartaceo gaciglio.
Come potrei io resistergli? Maledetti Plasmatori d'Idee,  sono i primi a farsi spazio
Divincolandosi tra le righe melmose di un'istabilità costante
e tra Menti Malate e perdute che s'accasciano sul sentiero...
come me, su questo diario di legno...

(Sarò leale, con me stessa lo sono sempre stata. Sono una squilibrata, a detta di tutti; la psicopatica dalle gialle trecce che si barrica in casa per non sentire la voce del mondo, e si copre gli occhi per non vedere il cielo squarciato dalle nubi cariche di pioggia e rabbia. 
Credo non possa esistere reputazione migliore di questa, è da anni che coltivavo d'esserlo, ci sono riuscita...)




{Indotta è la solitudine che bevo; amara la fiala del silenzio che serra le mie labbra e sciorina un credo senza volto... oggi, più di ieri...} 


Sputo in faccia agli schemi, ho ribrezzo del rigore matematico che s'inceppa a causa della scialba convenzionalità umana.
Mal tollero anche il calendario, che riempe le vostre labbra d'una stabilità certificata, ve le impasta a lungo e fissa il tempo accontentandovi con questa serenità malferma e friabile.
Velate apparenze di cera che a me non bastano.
Percepisco lo scorrere lento ed il disperato scandire dei minuti sulla mia pelle, ne sperimento le variazioni in maniera sensibile, decisamente "anumerica".
Trovo sciocco e infondato disporre in un sistema di enumerazione di giorni, mesi, anni, quando la vita è impregnata d'una tale profondità oceanica che al solo pensiero mi irrigidisco e fremo per le vertigini.
Se ponessi, in fronte alla pagina, i numeri corrispondenti agli àtoni giorni che vivo, sentirei di tradire me stessa, dilaniare qualcosa fin nello spirito.
Ordinerò le sequenze di questa mia esistenza, radunando le vie comuni e spargendo lontano gli opposti, con il solo aiuto della Natura,feconda madre dal potere rivelatore, unica sempre-verde costante che sovrasta ogni cosa.



Vedo un omino in bilico morire tra filo spinato e sangue spezzettato; ondeggia a lungo tra i turbamenti nebulosi tutt'intorno,  va cercando l'Equilibrio con la sola forza delle mani screpolate...

A volte ho la sensazione di abitare in un desolato frammento del polo nord in cui io sono lo sola residente, quell'unica, povera anima che consuma lì un'elemosina vitalizia.
Temo di venir catapultata in questo squallido alone apatico, infossato nella solitudine, ogni qual volta capita di discorrere con un individuo - presumibilmente un mio simile, per quanto mi possa sembrar sciocco anche solo pensarlo.
Ecco che le parole, da fattore collante quale dovrebbero essere,si tramutano in potenziali armi atomiche.
Anche solo una di queste, che sia celata o troppo sfacciatamente proferita, è capace di scatenare l'Inferno dentro me.
Perchè è tanto difficile omologarsi a quello che io reputo, nella migliore delle ipotesi, un disordinato gregge d'anime dalla testa costantemente china sulle proprie scarpe?
Potrò mai riuscire ad assumere anch'io un ruolo passivo quanto il loro, far parte di quel coro disarmonico e mal appaiato?
Perchè mai non esito a rifiutare quegli schemi sociali ai quali voi siete fieri di aderire?, a oltrepassare le linee di prigionia tracciate dalla vostra cultura?
Cosa c'è poi di così affascinante in una realtà sterile e prossima al macello?




{Il sole giuoca con le nuvole spumose e nerastre; il vento, pungente,dispettoso, le spettina ad ogn'ora} 


Mi sento accecata da una quotidiana visione che, bella trionfante, pare impugnare lo scettro della più consueta semplicità.
Eppure contemplo, emozionandomi, quel percorso d'infinite possibilità che ho davanti.
 Sotto di me scorre un curioso alternarsi di linee, intrecciate e combinate tra loro per leggi amorose a noi sconosciute: ne risaltano alcune, spesse ed eccessivamente marcate, che son sicura abbiano voluto mettersi in mostra e superare le altre, meno fortunate, sbiadite e ormai deboli, nate da un tratto incerto e maldestro - quasi come se colui che le ha messe al mondo si fosse pentito del risultato subito dopo aver adagiato la mina sul foglio.Biechi rimorsi hanno urlato dentro lui fino ad avere la meglio...ed ecco che le linee prodotte portano il marchio del suo animo tormentato, lo vedo, lo percepisco - non sono pazza!,non mi sto inventando alqunchè,giuro! - lo ha impregnato sul foglio e lì ormai vi rimarrà.Sempre. Sparse su quest'antica e possente scrivania, copioso l'insieme di matite e mine; silenziose parentele le legano le una alle altre,rendendole complici d'un comune destino - ma noi siamo sordi,non ascoltiamo il loro richiamo, ignoriamo quella flebile voce, lontana.... disumana..
Mi circondano, cingendomi forte nella loro statica incombenza. Mi spaventano, sembrano far barriera tutte insieme e schierarsi, solidali, contro me che sono sola e indefesa, inerme - non credo avrei la forza per reagire, proprio no. Cerco invano un possibile alleato, ma nessuno è disposto a parteggiare per me, misero individuo pulsante e vivo, mio malgrado.Il compasso, animale solitario della compagnia, è l'unico che pare provare una specie di stomachevole compassione nei miei riguardi - ebbene, preferisco che anche lui si rivolti nella tomba insieme agli altri, che marcisca con loro nelle buche più profonde e incandescenti, ma sì, crogiolatevi anche, insieme!Mi chino sul foglio,mi affloscio sul suo candore e disperata soffio via un grumo di cancellatura mista a polvere di mina - persino loro hanno trovato compagnia!!, e afferro una matita che con meravigliosa sorpresa non oppone alcuna resistenza alla stretta.Mi fermo un istante a guardare le altre, le sue fedeli comari, diverse l'una dall'altra per misure e finalità forse, ma accomunate da un'unica, identica sorte - tutte si piegano ad ogni volere umano, modellandosi sulle dita per poi imprimere,orgogliose,un 'impronta sul foglio che sa di eternità.E puzza, puzza di uomo. Smussata, la punta della matita che impugno chiede pietà - mi implora, desidera che provveda a lei, ed io la accontento;raccolgo un vecchio e abbandonato temperino e la levigo sotto lame affilate e sprezzanti.Il polso gira, segue una traitettoria immaginaria, i colpi secchi e determinati - un pò a destra, subito dopo a sinistra, e ricomincia da capo, subito,subito.. - mentre il tempo sembra dilatarsi e tendere pericolosamente all' infinito.....Oh, tempo, scoglio d'un avvenire maledetto e disperato!Sono in pericolo,barricata nell'eternità d'un disegno mal riuscito, malsano prodotto umano,oggetto demoniaco....  devo trovar rifugio! Fuggire!, soccombere, o forse rinascere.. sotto mentite spoglie! Ma quali? Balzo in avanti, rovescio per terra ogni cosa - l'insieme armonico di colori si frantuma in un baleno, spezzando le leggi del fato, e rimango li, per un istante, a godere del potere conquistato ed imposto su quelle povere ed intricate essenze di polvere......; oh, che ingenua sono stata, folle, illusa!, nel ricercare una perfezione che non c'è, nel credere che potessi davvero realizzar qualcosa... credere in qualcosa, o provarci, almeno.Sperare, amare, desiderare, come tutti, come voi.Ho bisogno d'abbandonarmi ad un buio anche sonoro, neanche le ombre verranno a trovarmi - sprofondo in questo misero cassetto di legno, e qui consumerò le giornate,come un'esule felice si gode della solitudine ottenuta!Sì, lo voglio!

domenica 31 luglio 2011

Curiosa, la vita d'un libro

- O libri, pluralizzando il termine, se proprio volessimo conferir loro un cordiale senso di comunità,  fratellanza inestinguibile, grondante d'amicizia criptata.
Pensiamo ai libri da incorniciare, relegare in soffitta, passare al setaccio, catalogare passivamente come fossero merce da magazzino- sono tutti possibili figure da personificare, giacchè son tante ed infinite le patologie che li affliggono, quasi assortiti in miserie umane, flebili timori, potenziali inespressi, tali e quali a noi.


Non un esodo predestinato, scolpito nelle stelle, quello che compiono: piuttosto un volo accorto da gran calcolatore, lucido e meticoloso, fiero.
Che siano avvolti in carta riciclata, pezzi di giornale, abbandonati nel disordine di mercatini in piazze semisconosciute;
chiusi tra mani screpolate, che fremono per il nuovo acquisto, o dita stanche e avvizzite dall'età che le passan poi a quelle d'un giovane nipote,
 i libri balzano da un cuore all'altro senza pudore, intimoriti appena dal continuo via vai, spossati dall'alito di lettori assonati, occhiate rapìte.
C'è poi chi viene sequestrato e posto in ostaggio per una febbre bramosa, chi scivola in un bieco dimenticatoio senza ritorno nè possibilità alcuna di redimersi, chi viene spodestato dal suo più comodo seggio e poi ospitato, per sbaglio o disattenzione, in settori a lui stranieri e ostili, quindi schiacciato dalla mole delle copertine più spesse e fortunate, o chi, fedele come un cane, viaggia come di consueto in prima classe sul comodino al tuo fianco - sempre pronto e disposto a far turni terribili, preda di follie notturne, compagno d'insonnia e titanica disperazione crepuscolare. O all'alba, quando, molto più semplicemente, tenti di riprendere i sensi, scuoti le gonfie palpebre, godendoti la trepida ed incessante attesa del nuovo giorno.
E nel denso silenzio di simboli tipografici, appena smorzati da un bagliore crescente,anneghi.......


Vi siete mai chiesti quale sia la sorte d'un libro prestato, e mai più rivisto?
Figli scapestrati, in preda ad una fuga accesa dal dispetto, imboccano strade, e poi bivi che li porteran lontani, sino a quando essi non avranno più nulla a che fare con il nostro destino - mai più ci affiancheranno nel cammino degli anni.
Con la gelosia d'un bambino ritorni con la mente all'istante fugace, sgattaiolato via troppo in fretta, in cui con cieca fiducia e un animo colmo di speranza, l'hai ceduto, in quel prestito che, immaginavi, sarebbe stato presto suggellato da una fine.
Ed invece, in uno smarrimento prima momentaneo, apparentemente erroneo, ed infine irrimediabile, quel libro non è ancora tornato indietro, e tu, terrorizzato, agonizzante per la perdita che ti imbratta gli occhi, non osi neppure sussurrare <<dov'è mai finito?>>, o chiedere quale sia il motivo che lo trattiene tuttoggi in mani estranee.
Chiuso in trappola, la tua naturale loquacità viene meno, e ti limiti a sorridere, con lo sguardo inebetito, e nel cuore l'immagine straziante d'un addio già celebrato.
Un saluto, in realtà, un timido arrivederci, a quel libro di cui sei stato privato, ma che pulsa ancora insieme a te






Vivere per sempre
                       Al di là del bene e del male
(In un) Nero riflesso
All'ombra delle fanciulle in fiore
Prima che il gallo canti
Sarò la tua ombra
(su) Notre-Dame de Paris.


lunedì 25 luglio 2011

Una luna di un blu notte

Còn le tue argentee lacrime
che ancor riecheggiano in cielo,
tra una moltitudine di immortali stelle, mute
Tu
ritrai l'immago delle pene ancor provate.

Allor mi interrogo,
mia fragile creatura, perchè disperi?
perchè inondi il cuor delle tue
frenetiche gocce di sale?
Quale cura arreca inquitudine
all' animo tuo?

Il vero risiede nel silenzio, ormai
labile seppur irrimedialmente tenace,
dei passi tuoi.

Passi che non trovano sostegno
da tempo
gli è stato privato di camminar
al seguito di un nuovo passo,

vischiosa impronta d'uomo.
Passi incapaci d' imprimer
quell'indelebile orma
di un malfermo presente
alla forsennata
ricerca di quel folle passato

Un passato tanto remoto che riportarlo
in vita
sarebbe come smorzare col fiato la fredda rugiada.

E l'animo tuo, oramai inerme,
si lascia sprofondare nell'abisso di un blu sporco,

mentre affoghi nei timori del domani.

venerdì 8 luglio 2011

Maligna cronologia della Storia

Accarezzo le tue pagine
vecchie e gialle
oh, Grande Veterano!
Assaporo le sillabe di cui sei ornato
- in coppie sdolcinate, male appaiate -
e mi pare di vederlo
quel siluro a mezz'aria
che cigola nell'Eco dei secoli

Le bandiere appassite
 nelle ore più calde della storia
adesso brindano al pericolo scampato

Mulinelli di polvere
s'inchinano
agli alfieri in festa

Con mostruosa brutalità
il nero della Peste
si compendia in un sanguigno dispiacere
- guardalo, come cavalca!
E consuma epocali rimorsi
sporchi di voglia di verità...

Paladino solitario
Impavido scudiero
Cavaliere senza spada
accogli il sorriso bagnato
d'un anima deserta:
Offri le palme ad una briciola d'uomo
Guarisci le fobie con racconti della strada
Unisciti alle loro raffiche di celata isteria

Imparerai cos'è l'amore

Inequivocabili ovvietà

Una duplice fatalità cinge
con la sua ingombranza
l'animo mio disperato
E si estingue così la vana speranza
d'una sana esistenza
- acquisita in un momento d'illusoria lucidità,
Tacita Follia!
bramata per ore al tenue bagliore d'un incongrua certezza
Falcidata oramai
da un focolaio di germi esistenziali


Ma sono in salvo
in preda alla bufera del silenzio
che alleggerisce gli spiriti
consapevolmente soli
in un arido deserto senza fine


Natura, cara Natura



Giacere sui fertili idiomi della Natura
Riposare in una sconfinata Pace fiorita
Godere dei suoi profumati, soavi piaceri

Oh, affreschi d'un primordiale amore!
Oh, celestiali usignoli mattutini!
Oh, placide voci bianche!

Vibrar d'una mutevole eternità
Bearmi dell'essenza degli ulivi
Seguire un'aquila , una lepre?
Tracciarne con malinconia
il percorso
ed assaporarne il leggier sospiro..

Questo, Voglio!
Ed esser scevra dal pesante
- ahimè Indissolubile
Ruolo d'Uomo.

Anonima come la disperazione


Budella in fiamme
e scheletri silenziosi
s'ammassano in soffitta
tra scatoloni di ricordi
e polvere d'Idee.

Ritroverò mai l'anima mia sgualcita?
Tutt'intorno soltanto infiltrazioni di sangue
che gocciolano
di tanto in tanto
tra le pareti dello stomaco;

e poi Nausea,
una nausea di colori e forme
esplode sul pavimento,
sogghigna
dall'alto del suo Elmo grigio
e sporca il legno,
strazia i vetri,
colma i bordi di queste magre falangi,
ghiaccia il sole che filtra, e tace..

Il tempo è fermo
a quel mordace istante
vomitato alle tue spalle


L'hai visto forse?
E le tue vitree pupille percepiscono
ancora i miei silenzi?

giovedì 7 luglio 2011

Preparativi disperati

Un nuovo viaggio ci attende e tra gli scompartimenti ed i vagoni troveran posto...
Un termos d'inquietudini. Tasche di vana essenza, Uno zaino di sogni da infrangere, Una valigia vuota, Un'Incognita speranza insieme poi a Capriole d'Idee che si smorzano in un battito di mani.


Con lo sguardo che abbraccia il mare
Immergo gli ipotetici mai del domani in un bicchiere d'acqua stagna
e attendo
a disagio
di correre lontano, nella nebbia
per perdermi nel blu avventuroso del cielo

mercoledì 6 luglio 2011

un'estate che non c'è

(s'arrestino le code, stormiscano i corvi sordi dal cui becco un lamento ora si ode, sorridan fieri gli alleati ed i bambini insieme giochino coi soli di un tramonto spento che arranca sotto il peso delle nuvole...)


In una salita d'asfalto che ansima da sola
                                                                    Cigola la frenesia
Il respiro accellera e si spezza il silenzio
che appena smorzava l'aria.
Nell'orizzonte solo nuvole morte in preda al battito di un tuono calante
ed il lampo scintilla tra uccelli che sbandano-
 lontano il rifugio e la stabilità.

Stringo tra le dita un ramoscello di legno confortante
                                                    e con due dita afferro il braccio raggelato
Entrambi palpitano ancora, di un dolore cieco e quasi muto...
indifferenti alla vita e alla sferzata di tempesta che sale.

Ancora due passi, e avverto il fruscio sudato d'un cane alle mie spalle
Infastidita poi
 scruto macchine e conducenti dai visi corrucciati che si rintanano
paurosi, schivi
Prima rallentano, poi sgattaiolano con la coda tra le gambe
- la pioggia,lassù, ora timida, ora beffarda, s'affaccia repentina                                                                                                                          e fa paura

sabato 29 gennaio 2011

Degustazione naturale

Le nuvole investono il ghigno del sole
pallida la luce,
beato il calore
e rido di quanto la terra
si giochi dei colori sfioriti
tra le foglie del giorno;


nell'amplesso floreale
folle il movimento
che sottrae,
alle carte già giocate,
ore ricolme di gelida rugiada
e placa il tormento
e lascia posto al ritorno del vento

Celato addio

Prosciugo le richieste dei miei tristi clienti
ebbri d'un amore raro e sconsolato
Alieno le domande di quei trenta passanti
in preda ad un vizio corrosivo e mai spezzato

Mi pongo in disparte e assorta
ascolto il frastuono che fa il vuoto quando canta;
eccolo, l'unico concorrente
mio nemico

Sguardo cieco e di vetro il cuore
mi guarda in lontananza ma ormai non vede più
in ossequio ad un celato addio

venerdì 28 gennaio 2011

Note maldestre sfuggono all'Estro e si fondono coi i volti dei passanti immersi in poetici dispiaceri, intenti a masticare nuove idee, ridurre in frantumi immaginarie aspettative, a mandar giù fuoriosi cataclismi, cedere ai rimorsi, morire in pochi istanti.
La fame - violacea, indomabile..- cede il posto alla febbrile novità della strada, agli emarginati che coltivan dolori tra i grigi orli di quel vicolo maledetto e sporco, che sa di asfalto bruciato, sassolini che s'insedian tra le dita e purtidume d'un animo esacerbato che scivola, e va..

sabato 8 gennaio 2011

Ogni storia è una miniera

Lavoravamo giorno e notte, a turno continuo, nelle profondità viscerali della terra: un inferno quotidiano, vissuto con eroica temperanza e brutale sopportazione.
Il tempo era un signore sconosciuto ed astratto, un'anonima realtà scandita dal battito regolare dei nostri gesti.
Il sudore inondava le vesti lerce, consunte, impregnate d'un acre odore di cui ho ancora impresso il ricordo, in una stampa che brucia d'eternità.

Le mani si annerivano prontamente con il contatto della polvere di carbone: la pressione esercitata dai palmi era terribile.
L'aria - pervasa dal famelico grisù - era divenuta oramai familiare, quasi fosse una consuetudine pericolosa alla quale non prestavamo attenzione: ne ignoravamo il rischioso potenziale, l'avevamo accolta con una disarmante familiarità...una compagnia di vita, nostro malgrado.
Il riposo era un'oasi di impensabile realizzazione, sebbene la fatica ci lacerasse le membra ed il martello pneumatico esaurisse le poche forze rimaste. Ripeto, giorno e notte.
Il lavoro, estenuante: nella sua quasi ossessiva ripetitività ci riduceva a brandelli di materia, inerme, indifesa, che a malapena conservava una qualche traccia di virile essenza.
Il fisico, sciupato a tal punto e sottoposto a sforzi disumani, andava incontro a concrete difficoltà motorie; per non parlare della scarsa concentrazione che si aveva e dell'inesorabile abbassamento delle prestazioni lavorative.

La nostra era una condizione di grave drammaticità: le questioni per sicurezza non erano minimamente considerate, è chiaro, non vi era alcuna legge che ci tutelasse in caso di infortunio. Non dimentichiamo inoltre che le ore e i turni superavano in maniera spaventosa i limiti del possibile, i confini dell'immaginabile.
Il pericolo del crollo albergò le nostre menti dal primo momento in cui ponemmo i piedi là sotto, quando entrammo a contatto con quel buio tenebroso; tormentava i nostri pensieri, pareva consumarci a poco a poco: in qualsiasi momento vi era la concreta possibilità che le pareti della miniera si sgretolassero, soffocando le nostre teste con una frana brutalmente catastrofica. 
Costretti a sopportare questo grandioso macigno, vi era in noi la consapevolezza che prima o poi un tragico epilogo avrebbe posto fine a quella nostra esistenza, pur sempre tale per quanto magra potesse essere.
Psicologicamente vinti dalla folle paura che risiedeva tra le membra sciupate, portavamo ugualmente avanti il lavoro - ognuno dedito al ruolo che gli competeva - nella speranza che la sorte non ci giocasse uno scherzo di cattivo gusto. O per lo meno non subito,non ora.

Accadde un giorno - o era forse  un turno notturno, quello? - che il timore di sempre si tramutò in una bieca realtà, sicchè la miniera divenne teatro del tragico incidente, quel dramma nel dramma di cui sempre, e da sempre, eravamo certi si sarebbe consumato.
Percepii io per primo quelli che potremmo comunemente definire i "campanelli d'allarme", famelici indizi di cui avrei volentieri fatto a meno....
furono i primi,sospettosi,cigolii circostanti, ai quali non eravamo abituati, ad inquietarmi : presto iniziarono a penetrarmi le orecchie, aumentando nell'immediato la loro intensità sino a diventare un frastuono incontenibile, smorzando l'aria e fendendola con colpi ripetuti.

Da quel momento in poi i fatti andarono ad intrecciarsi in contemporanea, e la rapidità con cui si susseguirono mi impedisce di riportarli con precisione; e sono inoltre costretto ad affrontare una battaglia contro la memoria, contro la disperazione. Contro me stesso che vorrebbe , o avrebbe voluto, rimuover tutto, come fosse un moscerino da catturare e poi uccidere.

Ebbe, la prima a crollare fu la galleria sotterranea; seguì uno scoppio dovuto alla deflagrazione che con una potenza esplosiva ridusse in polvere ogni cosa. La speranza divenne cenere, la vita cedette il posto alla Sciagura...

Non ci fu scampo. Nessuno poté mai più volgere gli occhi al cielo, rimirar le stelle e godere delle beatitudini della natura.
O accarezzare, per l'ultima volta, la mano del proprio bambino, o quella di una  moglie che da lì a qualche mese avrebbe partorito il primogenito tanto desiderato.
Tantomeno fu possibile, per nessuno di loro, vedere formarsi, su quei candidi visini nascituri o ormai maturi, le rughe segnate dall'età, dal tempo che passa, e che continuerà a fluire pur nell'assenza di padri, mariti, figli.

Furon stroncati dalla Morte che, nella sua imperturbabilità, li accolse d'improvviso senza concedere alcuna possibilità di fuga, salvezza,o un minuscolo ed istantaneo ripensamento.
Io non sono che l'unico sopravvissuto, quell'unico, fortunato, superstite di cui avrete senz'altro sentito parlare nei giornali; la mia foto fu cinicamente sbattuta in prima pagina, nell'immediato, quasi fossi stato il ritratto d'un miracolo vivente, un animale baciato dalla grazia chissà poi per quale motivo, o concessione.

Sapete, vi confesso che non avrei mai voluto rimanere in vita.
In una Vita che perde colore e forma, dopo un simile episodio.
Questa, segnata ormai in eterno, è destinata a marcire, a sgretolare l'anima dell'individuo, perseguitandolo all'Inferno... dando inizio ad un bieco ritorno alle origini, dove, una volta immerso nelle tenebre, avrò forse modo di rincontrarli, e dir loro che non li ho abbandonati, non era mia intenzione tradirli.
Questa triste testimonianza non troverebbe la sua ragione d'esistere se non per dare voce ai caduti , miei simili, miei amici; 
trattasi di un folle grido di speranza, più o meno illusoria, atta a riportare la giustizia,preservare la sicurezza dei lavoratori,e far risplendere la loro memoria.
La mia foto
A voi offro un cumulo di parole incenerite sotto l'obiettivo della mia macchina fotografica... Niente più, niente meno di questo.