mercoledì 10 agosto 2011

Follia d'un rosso sbiadito


Epilogo dell'epilogo

I.

Althea, dove sei?
Mi armo di un finto, inesistente coraggio e decido d'entrare.
Ancora qualche misero passo e sarò lì, a carezzare coi piedi gli assi di quel pavimento, e respirare l'aria che spezzò lei per l'ultima volta.
Althea, dove sei?
Scorgo d'improvviso il vuoto della sua stanza, ne percepisco l'assenza - un meandro inesistente e cieco che mi spaventa.
Getto uno sguardo smarrito tutto intorno, e incosciamente traccio il profilo della luce che pervade la parete e parte del mobilio; seguo il giuoco di ombre che si consuma, ingenuo e tetro, nell'altra parte della stanza.
Una zona remota, semisconosciuta, dimentica della morte.

Vuota è la poltrona presso cui suoleva riposar le membra, stanche, spossate, pericolosamente in bilico tra il suo mondo ed il nostro; rosso il tessuto, d'una tonalità scolorita, inesorabile vittima del tempo, testimone di una sciagura allora in corso.
Ma ormai giunta a destinazione.
La stoffa: sbiadita e spenta come l'essenza di Althea.
Una fiacchezza senza ritorno che non risparmia e non volle risparmiare nessuno.
Ricordo, giaceva là sopra per giornate intere e per tutte quelle notti, insonni, che vegliò alla luce della sua follia autodistruttiva. 
Un bagliore quasi metafisico questo, impalpabile, che sfugge alla nostra vista di uomini codardi. 
Un tremolio smorzato appena da due ciglia vigili e al tempo stesso già lontane.
Sperdute, son loro che per prime l'hanno preceduta in quel lungo viaggio di sofferenza al color di morte. Le ultime tuttavia a lasciarsi morire dall'esasperazione, a chiudersi in un disperato istante di solitudine.
Un semoforo a luci spente, prima solo intermittenti, destinato a rassegnarsi della propria decomposizione.

Il fisico nell'ultimo periodo si era ridotto a fragili ossicina, inermi i muscoli: fu questo il risultato di una mente che si andava devastando, nutrendosi della sua stessa pazzia.
Fatale. Prendo il mano quel vecchio scrittoio che si erge al di sopra una scrivania situata al c'entro della stanza: libri lerci e pastiglie ne fanno da cornice, inutile dirlo, in veste di tristi accompagnatori di quel cammino a senso unico che lei, con loro, intraprese.
Nessun altro a tenerle testa, se non un po' di Prozac e Mallarmè mattina e sera, prima o dopo i pasti più non importava.
Non appena lo prendo tra le mani neppure mi accorgo di come le dita scorrano silenziose e lievi, quasi in segno di rispetto chiudo gli occhi : voglio adesso assaporare il profumo poroso del legno, perchè mi penetri le vesti, poi il cuore, e lì vi si insidi per sempre.Con i polpastrelli sfioro timorosa la superficie rialzata dell'inchiostro traferito sul foglio: il tentativo di decifrarne la scrittura è arduo, impossibile comprendere il significato di quei versi, sarebbe come cercare di seguire il filo di segni amorfi e senza vita, sconclusionati, sottoposti ad una volontà umana ormai sconclusionata, anestetizzata, in preda ad un collasso.... -il respiro di Althea fu interrotto prima di portare a termine, e rendere immortale, l'ultima poesia.
Ormai le mani, in preda ad un tremolio continuo, non rispondevano più, e ribelli, si opposero alla sciocca pretesa di scrivere ancora: Althea si lasciò morire così, come una foglia secca, ormai caduta, si lascia schiacciare da distratte impronte d'uomo.
Con la differenza che lei non fece alcun rumore, non un sussulto.
L'avvolse il silenzio, e in segreto se la portò via. 
Tutto questo mentre quelle sue dita ossute non si decidevano ad abbandonare la penna, e con lei un sogno di vita infranto per sempre.
Mi lascio invadere dallo spettro del ricordo, che maledico ed invoco con lo stesso battito del cuore.Il timore, la rabbia cieca e sorda, adesso cedono spazio ad un dolore cristalizzato che va sciogliendosi con le lacrime di una sorella svuotata nell'anima.
Scovo mille emozioni, prima celate da uno scudo d'egoismo fine a se stesso: solo adesso mi accorgo di quanto si fossero sedimentate in fondo, albergando giù nel baratro più infernale della mia persona...sino ad oggi. 

Sino ad oggi, che Althea non c'è più.
Dovrò presto o tardi fare i conti con quest'evidenza, col fatto che i suoi occhi, assenti e vitrei come solo i suoi sapevano essere, non trovano più posto sul quel volto bianco d'una neve impastata a lungo;la sua treccia - mollemente adagiata sulla spalla, del colore di timidi e primaverili raggi di sole – non compare più da quel capo esile e minuto quale era il suo.
Le sue labbra, costantemente contratte in un bieco sorriso inebetito dai farmaci, non danno più vita a sibilii indistinguibili, a sillabe amorfe e rarefatte come rugiada che si scioglie nelle ore di prima mattina.I
l processo risponde alla stessa, prevedibile, scomparsa, o trasformazione che dir si voglia, di materia.
Di sensazioni acquose ormai dimenticate, e rapidamente sostituite per non sprofondare in un abisso vergognosamente profondo, per quanto incolmabile.

E' così difficile combattere quella realtà bruciata, e insieme l'effettiva e vera distruzione che addita una persona come Althea, prossima alla fine?




II.



Althea è perduta, ora e per sempre, tra le moltitudini ancestrali, le eterne solitudini 
che non ritorneranno.
Assume adesso le fattezze originarie, le membra presso cui, fin dal principio, aveva desiderato presiedere.Trova posto in seno alla Natura errante che Althea, guardinga, osservava dal vetro della finestra, confine con il mondo sensibile e prigionia invalicabile che aveva caratterizzato la sua esistenza.Mi piace pensare che adesso sia al fianco di quei fili d'erba - ai quali aveva attribuito nomi e sorti;al fianco delle sue amate rondini - animali senza patria che cambiavan vita ad ogni stagione; e sorrido al pensiero che sia diventata compagna dei candidi tulipani di cui andava disegnando la fisionomia su fogli bianchi e tristi - che successivamente, per rabbia, lacerava – riducendoli in miseri brandelli di carta. A lei somiglianti

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La mia foto
A voi offro un cumulo di parole incenerite sotto l'obiettivo della mia macchina fotografica... Niente più, niente meno di questo.